IL PROTOCOLLO SANITARIO

In base alla valutazione dei rischi ed eventuali sopralluoghi svolti dal medico competente verranno stabiliti i protocolli sanitari dei lavoratori. Nel protocollo sanitario vengono indicato quali gli esami clinici e/o esami strumentali a cui sottoporre il lavoratore e la frequenza con la quale questi dovranno essere eseguiti (parametri variabili a seconda del tipo di attività svolta dal lavoratore e dei rischi a cui è esposto).

Il protocollo di sorveglianza sanitaria è uno strumento fondamentale per il medico competente e per l’attività di medicina del lavoro con il quale tutelare e migliorare lo stato di salute del lavoratore.

Come già accennato sopra, per stabilire il protocollo sanitario e la periodicità degli accertamenti sanitari ci si dovrà basare sui risultati della valutazione dei rischi. Nella preparazione del protocollo sanitario il medico competente deve tener conto degli obblighi legislativi che descrivono quali accertamenti da eseguire e le periodicità da rispettare.

I protocolli sanitari devono essere intesi come una linea guida principale, integrata dal parere del medico competente nominato dal datore di lavoro. Il medico competente può modificare o aggiungere sia il tipo di esami clinici, biologici e indagini diagnostiche che, la periodicità, al fine ultimo di tutelare e migliorare lo stato di salute del lavoratore.

 

da http://www.safety81.it/medicina_lavoro/protocollo_sanitario_medicina_lavoro.html#.VZUQlEaFuUk

IL DVR (DOCUMENTO VALUTAZIONE RISCHI)

Perché effettuare un documento di valutazione dei rischi?

Ogni manciata di minuti qualcuno nell’UE muore a causa di incidenti sul lavoro. Ogni anno centinaia di migliaia di lavoratori rimangano vittime di infortuni sul lavoro, molti altri sono costretti a richiedere permessi per malattia a causa dello stress, dell’eccessivo carico di lavoro, di disturbi muscoloscheletrici o di altre patologie legate all’attività lavorativa. Gli infortuni e le malattie, oltre a generare costi in termini di disagio umano a carico dei lavoratori e delle loro famiglie, non solo riducono la produttività delle aziende, ma incidono anche in maniera rilevante sulle risorse dei sistemi sanitari.

La valutazione dei rischi è fondamentale per una gestione efficace della sicurezza e della salute e può essere considerata la chiave di volta per limitare gli infortuni legati all’attività lavorativa e le malattie professionali. Se svolta in maniera corretta non solo migliora la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, ma anche accresce il rendimento dell’azienda.

In cosa consiste la valutazione dei rischi?

La valutazione dei rischi è appunto come il nome ci suggerisce, un attento processo di valutazione dei rischi e di possibili pericoli presenti sul luogo di lavoro che potrebbero incidere sulla sicurezza e la salute dei lavoratori.
Essa consiste in un esame sistematico di tutti gli aspetti dell’attività lavorativa, volto a stabilire:
– cosa può provocare lesioni o danni;
– se sia possibile eliminare tali pericoli;
– e, nel caso in cui ciò non sia possibile, quale misure di prevenzione e protezione devono essere   messe in atto per controllare i rischi.
I datori di lavoro hanno il dovere da un lato, di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in relazione ad ogni aspetto collegato all’attività lavorativa e, dall’altro lato, di effettuare una corretta valutazione dei rischi. La direttiva quadro dell’UE sottolinea il ruolo fondamentale della valutazione dei rischi e stabilisce le disposizioni di base che ogni datore di lavoro deve rispettare. Gli Stati membri, tuttavia, hanno il diritto di adottare disposizioni più rigorose per tutelare i propri lavoratori (cfr. la normativa specifica del proprio paese).

Come si valutano i rischi?

Per la maggior parte delle imprese dovrebbe essere sufficiente un semplice approccio alla valutazione dei rischi in cinque fasi. Esistono, tuttavia, altri metodi altrettanto efficaci, in particolare in relazione a rischi e situazioni più complesse.
Di seguito viene discritto il metodo di valutazione dei rischi in cinque fasi:

Fase 1 — Individuare i pericoli e i rischi

Ecco alcuni suggerimenti per facilitare l’individuazione dei pericoli:
– ispezionare il posto di lavoro e verificare cosa può arrecare danno;
– consultare i lavoratori e/o i loro rappresentanti per conoscere i problemi riscontrati;
– considerare i pericoli a lungo termine per la salute, come livelli elevati di rumore o l’esposizione a   sostanze nocive, nonché i rischi più complessi e al volte meno ovvi, come i rischi psicosociali o i   fattori legati all’organizzazione;
– esaminare i registri aziendali degli infortuni e delle malattie;
– raccogliere informazioni da altre fonti quali:
– manuali d’istruzioni o schede tecniche dei produttori e fornitori;
– siti web dedicati alla sicurezza e alla salute occupazionale;
– organismi, associazioni commerciali o sindacati a livello nazionale;
– normative e norme tecniche.
È importante capire chiaramente, per ciascun pericolo, quali sono le persone esposte al rischio specifico; ciò può ritenersi l’unico modo per individuare e gestire al meglio tale rischio. Questo non significa elencare ciascun lavoratore per nome compilando un elenco dei rischi ai quali esso è esposto, quanto piùttosto suddividere i lavoratori in gruppi sulla base molto spesso della mansione specifica e procedere ad una stima dei rischi per ciascuna di esse.
Particolare attenzione deve essere prestata ai gruppi di lavoratori che possono essere maggiormente a rischio, per i quali è importante determinare in che modo possano subire danni, ossia quale tipo di infortunio o malattia può capitare loro.

Fase 2 — Valutare e attribuire un ordine di priorità ai rischi

La fase successiva consiste nel valutare il rischio derivante da ciascun pericolo.
A tal fine si possono considerare i seguenti fattori:
– la probabilità che un pericolo arrechi danno;
– la possibile gravità del danno;
– la frequenza (e il numero) dei rischi a cui i lavoratori sono esposti.
Un processo di valutazione semplice basato sul buonsenso, che non richieda particolari competenze specialistiche o tecniche complicate, potrebbe bastare per individuare i pericoli presenti in molti luoghi. Tra questi si annoverano le attività che comportano pericoli di lieve entità o i luoghi di lavoro in cui i rischi sono ben noti o facilmente rilevabili e in cui è prontamente disponibile uno strumento di controllo. Probabilmente questo è il caso della maggior parte delle aziende (soprattutto le piccole e medie imprese – PMI).
Ai rischi deve quindi essere attribuito un ordine di priorità, che deve essere rispettato al momento di avviare le azioni di gestione.

Fase 3 — Decidere l’azione preventiva

La fase successiva consiste nel decidere come eliminare o controllare i rischi.
In questa fase, è necessario considerare:
– se è possibile eliminare il rischio alla radice;
– nel caso in cui ciò non sia possibile, in che modo si possono controllare i rischi affinché non   compromettano la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti.
Nel prevenire e controllare i rischi è necessario tenere conto dei seguenti
principi generali di prevenzione:
– evitare i rischi;
– sostituire i fattori di rischio con fattori non pericolosi o meno pericolosi;
– combattere i rischi alla fonte;
– adottare misure protettive di tipo collettivo anziché misure di protezione individuali (per esempio,   controllare l’esposizione ai fumi attraverso sistemi di aerazione locali piuttosto che con l’ausilio di   maschere);
– adeguarsi al progresso tecnico e ai cambiamenti che esso porta;
– cercare di migliorare il livello di protezione.

Fase 4 — Intervenire con azioni concrete

La fase successiva consiste nel mettere in atto misure di prevenzione e di protezione. È importante coinvolgere i lavoratori e i loro rappresentanti in questo processo.
Un intervento efficace comprende l’elaborazione di un piano che specifichi:
– le misure da attuare;
– le persone responsabili dell’attuazione di determinate misure e il relativo calendario di intervento;
– le scadenze entro cui portare a termine le azioni previste.
È essenziale che ogni attività volta a eliminare o prevenire i rischi sia fatta rientrare in un ordine di priorità.

Fase 5 — Controllo e riesame

È importante inoltre ricordarsi di effettuare verifiche periodiche per garantire che le misure preventive e protettive funzionino o siano effettivamente attuate e per individuare eventuali nuovi problemi.
La valutazione dei rischi deve essere revisionata regolarmente, in base alla natura dei rischi, al grado di evoluzione probabile dell’attività lavorativa, alla luce dei risultati di indagine conseguenti ad un infortunio o «quasi incidente» o ad eventuali future modifiche di legge.
La valutazione dei rischi non è un’azione una tantum!

Registrare la valutazione

La valutazione dei rischi deve essere registrata.
Tale registrazione può essere utilizzata come base per:
– trasmettere informazioni alle persone interessate;
– monitorare se sono state introdotte le misure necessarie;
– fornire una prova alle autorità di vigilanza;
– provvedere a una revisione, nel caso in cui le circostanze cambino.

Si raccomanda, in particolare, di registrare almeno le seguenti informazioni:
– nome e funzione della persona o delle persone che effettuano l’esame;
– pericoli e rischi individuati;
– gruppi di lavoratori esposti a determinati rischi;
– misure di protezione necessarie;
– informazioni specifiche sull’introduzione delle misure, quali il nome della persona responsabile e la   data;
– dati relativi alle successive disposizioni per il monitoraggio e la revisione, comprese le date e le   persone coinvolte;
– informazioni in merito al coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti nel processo di   valutazione dei rischi.

Lavoratori che corrono il rischio maggiore

– Lavoratori con disabilità
– Lavoratori immigrati
– Lavoratori giovani o anziani
– Donne in stato di gravidanza e madri che allattano
– Personale privo di formazione o esperienza
– Manutentori
– Lavoratori immunocompromessi
– Lavoratori affetti da patologie quali ad esempio bronchite
– Lavoratori sottoposti a cure mediche che possono per tale motivo vedere aumentata la loro vulnerabilità ai   pericoli.

 

fonte: www.ispesl.it

LA CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO

Art. 25 La cartella sanitaria e di rischio
Per ogni lavoratore viene istituita e periodicamente aggiornata una cartella sanitaria dove sono riportate le sue condizioni psicofisiche, i risultati degli accertamenti strumentali, di laboratorio e specialistici eseguiti, eventuali livelli di esposizione professionale individuali forniti dal Servizio di prevenzione e protezione (come suggerito all’allegato n 3A), nonché il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
La “cartella sanitaria e di rischio”, deve soddisfare i requisiti minimi contenuti nell’Allegato 3A del D.Lgs.81/08 e può essere predisposta su formato cartaceo o informatizzato secondo quanto previsto all’art. 53 (conformemente alle indicazioni previste da decreto sulla gestione dei documenti informatizzati e al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali) (art. 41, comma 5).

CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO
1. deve essere istituita e aggiornata periodicamente dal medico competente per ciascun lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria (art. 25, comma 1, lettera c);
2. deve essere custodita sotto la responsabilità del medico competente con salvaguardia del segreto professionale (art. 25, comma 1, lettera c);
3. nel caso di aziende con più di 15 dipendenti il luogo di custodia delle cartelle sanitarie deve essere concordato con il datore di lavoro (art. 25, comma 1, lettera c);
4. deve essere firmata sul frontespizio dal datore di lavoro (vedi Allegato 3A);
5. deve essere firmata dal lavoratore per presa visione dei dati anamnestici e clinici e del giudizio di idoneità alla mansione, delle informazioni relative alle modalità di conservazione della stessa o di eventuali accertamenti sanitari cui il lavoratore deve sottoporsi anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa (vedi Allegato 3A);
6. su richiesta deve esserne fornita copia al lavoratore;
7. in caso di cessazione dell’attività dell’azienda o di risoluzione del rapporto di lavoro deve essere consegnata la documentazione sanitaria dal medico competente al lavoratore, che firmerà per ricevuta (art. 25, comma 1, lettera e);
8. in caso di cessazione dell’incarico il medico competente deve consegnare la documentazione sanitaria in suo possesso, sempre con salvaguardia del segreto professionale, al datore di lavoro, che firmerà per ricevuta (art. 25, comma 1, lettera d).

 

Nelle aziende in cui vi è rischio di esposizione ad agenti cancerogeni, mutageni o biologici pericolosi, la normativa vigente prevede l’obbligo per il datore di lavoro di istituire ed aggiornare un registro dei lavoratori esposti. Nel caso di lavoratori esposti a tali agenti, alla cessazione del rapporto di lavoro o dell’attività dell’azienda, il datore di lavoro invia all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro – ISPESL – la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro dei lavoratori esposti, sempre con salvaguardia del segreto professionale, e ne consegna copia al lavoratore stesso (secondo le modalità contenute nel D.M. 155/07 per l’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni).

 

 

da http://www.safety81.it/

 

ALCOL E LAVORO

Il D.Lgs.vo 81/08, prevede espressamente. all’art. 41, comma 4, l’obbligo di effettuare la sorveglianza sanitaria finalizzata “alla verifica della assenza di condizioni di alcoldipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti”.
L’obbligo non vige indistintamente per tutti i lavoratori ma solo, come recita la norma, “nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento”, cioè dalle norme specifiche in vigore o che saranno successivamente emanate. L’obbligo riguarda, per l’alcol, l’accertamento dello stato di alcoldipendenza, mentre per le sostanze stupefacenti e psicotrope anche la la sola assunzione solo sporadica: sarà poi il SERT, se del caso, ad accertare se si tratta si uso occasionale, abituale o tossicodipendenza. Con riferimento alle problematiche legate all’alcol abbiamo, ad oggi, due norme contemporaneamente vigenti:
La legge 125 del 2001 (“Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati”);
Il Decreto Legislativo 81/08 (art. 41 comma 4).
Le due norme, pur trattando dello stesso tema (problemi legati all’alcol) disciplinano, con riferimento ai lavoratori, due aspetti differenti:
Assunzione anche sporadica di alcol (legge 125/01);
Alcoldipendenza (D.Lgs.vo 81/08).

La legge 125/01 (Art. 15)

La legge 125/01, all’Art. 15, dispone che nelle attività lavorative ad alto rischio di infortunio, ovvero in cui diventa rilevante il problema di garantire la sicurezza di terzi, “è fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche”. L’elenco delle attività è stato specificato dall’Intesa Stato Regioni del 16 Marzo 2006, e comprende numerose categorie professionali. Tra queste:
Personale sanitario in strutture pubbliche e private
Insegnanti e vigilatrici d’infanzia
Mansioni che prevedono il porto d’armi
Addetti alla guida di veicoli con patente B e superiori
Carrellisti ed operatori di macchine per movimento terra
Addetti all’edilizia,
Controllori di volo e del traffico ferroviario
Operatori che lavorano a contatto con esplosivi
E molti altri…
Per questi lavoratori la legge prevede un generale divieto di bere alcolici (divieto non limitato, come spesso si pensa, all’orario di lavoro), e vieta ai datori di lavoro di somministrare bevande alcoliche, ad esempio nei bar aziendali, mense, macchine distributrici di bevande, ecc. La legge 125/01 stabilisce anche che il medico competente (ed i medici dell’ASL) effettuino test alcolimetrici sui lavoratori interessati, che devono avere esito del tutto negativo: per i lavoratori infatti non c’è un limite, e non ci deve essere nemmeno una goccia di alcol nel sangue (e quindi nell’aria espirata) perché non è vietato “bere troppo”, è vietato bere in senso assoluto. E del resto, anche il Codice della Strada prevede il limite “zero”, oltreché per i neopatentati, anche per i conducenti professionali.
Se un lavoratore viene riscontrato positivo all’alcol test, non significa che è alcodipendente (condizione per fortuna rara) ma, avendo infranto il divieto e potendo costituire un rischio per se stesso e per gli altri, deve essere allontanato immediatamente dalla mansione a rischio, per il tempo necessario a metabolizzare completamente l’alcol.
Attenzione: stiamo parlando di assunzione anche di modiche quantità di alcol, comunque vietate dalla legge per questi lavoratori. Non parliamo necessariamente di un lavoratore che si presenti in evidente stato di ebbrezza sul lavoro: in questi casi non è indispensabile che il medico competente (che non sempre è presente in azienda o attivabile in breve tempo) effettui il test, perché il datore di lavoro stesso (ma anche il dirigente o il caporeparto), a suo insindacabile giudizio, ha la possibilità e il dovere di allontanare il lavoratore dalla mansione a rischio per sè o per glia altri, ne’ più ne’ meno come farebbe (e deve fare) in qualsiasi caso un lavoratore, anche per un “normale” malessere indipendente dall’uso di alcol o di altre sostanze, non appaia in grado di assolvere in sicurezza ai suoi compiti. Ciò è espressamente previsto dall’art. 18 comma 1 lettera c del Testo Unico.
Sanzioni aggiuntive.
Peraltro, le delibere attuative delle Regioni Piemonte e Toscana (vedi oltre) prevedono espressamente che nella redazione del documento di valutazione dei rischi siano descritte anche le procedure per la gestione dei casi di lavoratori che si presentino sul lavoro in evidente stato di alterazione etilica.

Oltre alle sanzioni previste dalla legge 125/01 (multa da 516 a 2.582 Euro), per i trasgressori sono applicabili anche le sanzioni previste dal D.Lgs.vo 81/08 per chi non rispetta le disposizioni aziendali (arresto fino ad un mese o ammenda da 200 a 600 euro) e l’Azienda può stabilire autonomamente sanzioni disciplinari, che devono essere previste nel DVR.
Per il Datore di lavoro che non rispetti il divieto di somministrazione di alcol la sanzione prevista dalla legge 125/01 è la stessa. Ma per il Datore di Lavoro che non rispetti il divieto, o non vigili sul rispetto del divieto da parte dei lavoratori, il rischio più serio è costituito dalla responsabilità penale e civile in caso di infortunio subito dal lavoratore, o di danni verso terzi eventualmente causati dal lavoratore stesso.
Sia le delibere le procedure definite dalla Regione Piemonte che quelle della Regione Toscana prevedono l’effettuazione della etilometria su aria espirata. In caso di positività, la Regione Piemonte prevede il controllo ematico di conferma (prelievo eseguito entro quindici minuti dall’etilometria) mentre nella Regione Toscana non è previsto alcun controllo ematico di conferma.

La sorveglianza sanitaria per l’alcoldipendenza: un problema complesso

Il problema dell’alcoldipendenza è molto più complesso del semplice accertamento del rispetto del divieto di assumere alcolici. Innanzitutto, come già ricordato, non è detto che chi risulti positivo all’etilometria sia un alcoldipendente: anzi, nella grande maggioranza dei casi si tratta di persone che hanno bevuto anche modiche quantità di vino, birra o superalcolici, contravvenendo tuttavia al divieto. Per contro, non è detto che una persona negativa al test non sia alcoldipendente: i lavoratori alcoldipendenti infatti, quando sanno che c’è la visita del medico competente, si presentano normalmente “sobri”.
Difficilmente tuttavia questi ultimi potranno nascondere al Medico Competente esperto, se presenti, i segni fisici e comportamentali caratteristici della condizioni, quali ad esempio: viso arrossato, sovrappeso o magrezza esagerata, torpore della reazione pupillare alla luce, sudorazione profusa, tremori muscolari marcati dei piccoli muscoli delle dita, del volto, delle palpebre e della lingua, stanchezza e dolori muscolari, diarrea, insonnia, vertigini, orinazione frequente, lingua secca, tremante, con bordi irregolari, fratture costali, malattie polmonari, pressione arteriosa labile con innalzamento, sensibilità cutanea aumento della temperatura corporea.
Tali segni e sintomi andranno poi supportati da ulteriori informazioni desumibili dall’anamnesi, da esami ematici, dalla somministrazione di questionari ad hoc (Audit C).
In nessun caso un solo esame ematico, in assenza dei parametri anamnestici e clinici potrà deporre per uno stato di alcoldipendenza. In particolare, alcuni esami, quali la CDT, o Transferrina desialata, spesso impropriamente utilizzato per lo “screening” dell’alcoldipendenza, non forniscono in realtà. da soli, alcuna informazione utile. La CDT, ad esempio, ha una “predittività positiva” non superiore al 45%: significa che su 100 positivi al test solo 45, forse, sono alcoldipendenti, gli altri 55 hanno la CDT alta per altri motivi. Per questo al Regione Toscana, ad esempio, non la indica tra i parametri facoltativi, mentre indica quali parametri standard del protocollo sanitario le Transaminasi, la GGT ed i Trigliceridi.
La diagnosi di alcoldipendenza è di competenza dei Centri di Alcologia cui il Medico Competente, sulla base della sorveglianza sanitaria, invierà i lavoratori in caso di sospetto diagnostico, e si fonda su di un complesso di elementi anamnestici, clinici e chimico-clinici specialistici.

La situazione nazionale e nelle varie Regioni

Al momento attuale (Febbraio 2015) il gruppo tecnico della Conferenza Stato-Regioni ha elaborato una bozza di “indicazioni” non ancora approvata, tuttavia dalla Conferenza.
Gli orientamenti desumibili dalle bozze in circolazione sarebbero i seguenti:
a) sul piano delle linee direttrici:
– unificazione in un unico quadro normativo, valido su tutto il territorio nazionale, delle problematiche relative ad alcol e stupefacenti, unificando e superando i precedenti provvedimenti del 16 Marzo 2006, 30 Ottobre 2007 e 18 Settembre 2008;
– come conseguenza del punto precedente, previsione di un unico elenco di mansioni a rischio, uguali per alcol e stupefacenti;
– stabilire un unico protocollo diagnostico nazionale;
– uniformare i comportamenti degli organi di vigilanza.

Su piano procedurale, alcuni punti fermi sembrebbero essere i seguenti:
– divieto, di assunzione di alcol, di cui all’art. 15 della L. 125/01, vigerebbe “durante il lavoro” (attualmente vige un divieto assoluto, anche se ovviamente i controlli alcolimetrici possono essere effettuati solo durante il lavoro);
– verrebbe comunque stabilito il principio della “non accettazione al lavoro” di soggetti giudicati temporaneamente non idonei in quanto abbiano assunto precedentemente al lavoro sostanze stupefacenti o alcol; l’accertamento deve essere effettuato dal medico competente, e le sostanze o i metaboliti delle stesse devono essere rilevati sulle matrici specifiche: per gli stupefacenti contrariamente a quanto attualmente previsto, viene identificata la saliva, mentre per il rilevo dell’alcolimetria si conferma l’uso dell’etilometro su aria espirata. Per l’alcol è prevista una soglia minima tollerabile di 0,3 g/l.
– viene prevista la possibilità di dotazione sul luogo di lavoro di test rapidi per l’autodiagnosi del tasso alcolemico da parte dei lavoratori;
– per il controllo medico su lavoratori per i quali sussista il dubbio di assunzione di stupefacenti o alcol, e che non svolgano mansioni a rischio , il datore di lavoro può rivolgersi all’ASL ai sensi della Legge 300/70 (art. 5);
Nell’elenco unico delle mansioni a rischio:
– non sarebbero più presenti il personale insegnante e il personale sanitario;
– le mansioni relativa al trasporto di cose e persone riguarderebbero tutte le categorie di patenti;
– per le macchine movimento terra e merci, figurerebbero solo le macchine per la cui guida è richiesta una specifica abilitazione;
– i lavoratori edili sono presenti, ma limitatamente agli operatori che svolgono attività in quota superiore a 2 metri;
– sarebbero previste tutte le attività comportanti l’obbligo della dotazione di armi, indipendentemente dall’obbligo del porto d’armi.

Nel frattempo, prima ancora della predisposizione della bozza, le Regioni Puglia e Friuli Venezia Giulia avevano adottato proprie linee di indirizzo in merito.
Solo due Regioni (Piemonte nel 2012 e Toscana nel 2013) hanno ritenuto, nelle more della approvazione del documento del Gruppo Tecnico, di adottare autonomamente un provvedimento derivato, peraltro con alcune differenze applicative.
Fermo restando, per le Regioni che hanno adottato autonomi provvedimenti aventi forza di legge, l’obbligo di adottare le procedure definite dalle rispettive Giunte Regionali, nelle altre Regioni, per chi ritenga di attivare la sorveglianza sanitaria, si può fare riferimento adottare le procedure definite dalla Regione Toscana, in quanto più recenti, sulla base del disposto legislativo (art. 25 comma 1 lett. b) per cui il medico competente effettua la sorveglianza sanitaria “tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati
fonte e autore: Graziano Frigeri, Blog Euronorma (www.euronorma.it/blog)

IL SOPRALLUGO NEGLI AMBIENTI DI LAVORO

Il medico competente visita gli ambienti di lavoro almeno una volta l’anno o con cadenza diversa in base alla valutazione dei rischi. L’indicazione di una periodicità diversa deve essere comunicata al datore di lavoro e annotata nel documento di valutazione dei rischi (art. 25, comma 1, lettera l, D.Lgs 81/08).
Il sopralluogo può essere sostituito o integrato con la visione dei piani di sicurezza per i cantieri cui la durata presunta dei lavori è inferiore ai 200 giorni lavorativi e il medico abbia già effettuato sopralluogo in altri cantieri gestiti dalla stessa impresa aventi caratteristiche analoghe e (art. 104, comma 2, D.Lgs 81/08).
Non è previsto l’obbligo di sopralluogo congiunto con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

 

da http://www.safety81.it/